mercoledì 13 maggio 2009

Giuseppe Mazzini: «The fair maid of Perth (la jolie fille de Perth» (I, 5 - 1828)

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Vol. I, capp. 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26.

V.
THE FAIR MAID OF PERTH
( LA JOLIE FILLE DE PERTH ).
Roman historique par sir Walter Scott.

Indicatore Genovese, n. 6 del 12 luglio 1828.
Edizione Nazionale: vol. I, pp. 49-51.

[49] Dalle rupi dell’antica Caledonia discende a raggiugnere le sorelle sparse per tutta Europa, una vergine candida, pura, brillante di vita, bella di virtù, d’entusiasmo, e d’un animo, che non si pasce d’inezie. Noi raccomandiamo a chiunque ha cuore gentile, e mente non preoccupata, di contemplare la giovin fanciulla di Perth, e chi non potesse mirarla nella schiettezza delle vesti native, la rintracci sotto le galliche, che a lei diede l’infaticabile Defauconpret.

L’epoca dei fatti, che compongono questo nuovo Romanzo, risale al regno del terzo Roberto, sul finire del secolo decimo quarto; quando la Scozia presentava una immagine del caos nel conflitto degli elementi sociali, non ordinati dalla giustizia, non raffrenati da una energica forza. La prepotenza feudale giganteggiava da’ suoi cento castelli sulle inermi città. I signori, briachi d’ignoranza, e d’orgoglio, non riconoscevano altra autorità, che il proprio capriccio, e affidavano il maneggio dell’opre nefande a masnade di sgherri, nati al delitto, pronti sempre a vender l’anima, e il braccio a chi potea dare in contraccambio protezione, e mercede. Né valea tutela di leggi, perché i magistrati, che dovean vegliarne [50] l’esecuzione, eran per lo più timidi, o compri. La possanza regale anch’essa impunemente vilipendeasi, dacché i Principi, vacillanti, ed incerti, non volean nimicarsi coloro, che potean difenderli dalle invasioni straniere. Quindi tumulti frequenti di popolani, che, tratti all’estremo, sorgevano a vendicare da sé gli oltraggi, e lo spregio; le opinioni dei Wicleffiti aggiungevano esca alla divisione, ed allargavano il campo delle persecuzioni. – Il culto illimitato, che tributavasi alla bellezza, e pochi canti di trovatori eran l’unico raggio, che illuminasse quelle tenebre di rozzezza, e di crudeltà, perché l’amore, e la poesia han vita eterna quaggiù. Ma né l’alito della rosa basta a proteggerla sempre dal sozzo verme, e sovente anche il fiore della beltà contaminato era dalla superba licenza de’ giovani signori.

Triste quadro davvero! – Ma comune un tempo a tutte le genti, e perciò scuola d’osservazioni, e d’insegnamenti a quei, che studiano nel passato, come si guidi al meglio la razza. – L’autore fe’ dunque scelta opportuna, benché difficile per la confusione dei fatti, e per la scarsezza degli storici monumenti. La Scozia non ebbe cronicisti, che tardi; Major, Ettore Boezio, e pochi altri appartengono al secolo XVI; le storie, ch’essi composero, non eccettuato Bucanano, benché più celebre, sono intaccate di quella credulità, ch’è retaggio di tutti i primi narratori. Lo Scott superò, ci pare, gli ostacoli in guisa degna di lui; profondamente versato nelle antichità della sua patria, abile a trarre conseguenze acute dalla menoma reliquia dei tempi, che furono, egli ci pone evidente sott’occhio la fisonomia di que’ tempi. La condizione, e il torbido zelo dei popolani, la generosa ferocia dei montanari, i riti, le costumanze, i [51] cortigiani, i signori, e i loro sicarj ti difilano innanzi, come se una magica voce li avesse costretti a levarsi dalla polve, ove giacciono da più secoli: e il Romanziere li veste talora di tinte sí vivaci, e reali, ch’egli merita il titolo di Profeta del passato, che un ardito ingegno conferiva agli storici.

E quanto alla parte ideale – lode all’uomo, a cui, malgrado 140 volumi, e 57 anni, sorride sí fresca la fantasia, e batte sí rapido il cuore da poter trarne l’idea di caratteri, come quelli di Proudfute, dell’armaiuolo, di Dwining ecc., e pitture sí care, e commoventi, come quelle di Caterina, e Luigia!

Per quanta lode abbiamo noi compartita a questo romanzo, non siamo sí compresi dall’entusiasmo, da non iscorgere, che alcune macchie guastano tratto tratto la beltà del lavoro; qualche lieve inverosimiglianza, qualche dialogo forse prolisso, lo studio di minutezze tropp’oltre spinto, e talora difetto di collegazione tra i fatti storici, e gli ideali illanguidiscono, o disviano l’interesse. Ma di simili nèi, comuni a quasi tutti i romanzi di Gualtiero Scott, ragioneremo forse in altra occasione. Per ora gli angusti limiti del giornale non ci concedono il trattenerci in una compiuta analisi del romanzo. Si può dare in poche linee l’analisi d’un dramma, specialmente classico, d’un romanzo greco, d’un’opera critica, che poggi sulle Aristoteliche norme, ed anche d’un Carmen, quando pure divagasse un po’ troppo: d’un romanzo storico dello Scott, in 4 volumi, in cui s’intrecciano molti fatti, e ti si parano innanzi a mille i sentimenti, e le descrizioni; non può darsi lo scheletro da chi sa, come appaja deforme il più bel corpo umano, quando più non vi spira per entro quell’aura di fervida vita, che lo animava.

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